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Il rito musicale del Lazzaro in Piana degli Albanesi.


La sera e la notte del venerdì che precede la Domenica delle Palme, per le vie e le piazze dei centri siculo-albanesi, risuona da tempi immemorabili il “Canto della Resurrezione di Lazzaro”. Un rito musicale che in anni recenti è stato sistematicamente studiato da un gruppo di ricerca coordinato dagli etnomusicologi dell’Università di Palermo Professori Sergio Bonanzinga e Girolamo Garofalo, con la consulenza di Papàs Jani Pecoraro, di cui hanno fatto parte anche Giuseppe Di Miceli, Giuseppe Giordano, Maria Milazzo, Maria Rizzuto ed Emanuele Tumminello. Prezioso è stato il contributo del Professore Matteo Mandalà della Università di Palermo.

Momento fondamentale di tale ricerca è stata un’ampia campagna di rilevamento audiovisivo svolta nel 2014 in tutti e cinque paesi arbëresh di Sicilia dai suddetti studiosi, simultaneamente organizzati in diverse équipe.

Esito di tale ricerca “sul campo” – integrata da un attento studio di fonti letterarie, di documenti storici e dalla raccolta di testimonianze orali – è stata nel 2016 la pubblicazione del volume "Il rito musicale del Lazzaro nelle comunità arbëreshe di Sicilia”, curato da Girolamo Garofalo e di Giuseppe Giordano ed edito dal Museo Internazionale delle Marionette “Antonio Pasqualino nella Collana “Suoni&Culture, che contiene diversi saggi di cui sono autori tutti i componenti della suddetto gruppo di ricerca.

Nell’imminenza della ricorrenza del “Lazzaro” 2024 e in linea con il costante impegno di visitpiana.com nel mantenere e difendere le tradizioni siculo-arbëreshe, stante l’importanza scientifica e documentaria di tale pubblicazione, riteniamo di rendere un utile servizio riportando qui alcuni estratti del testo introduttivo scritto da Girolamo Garofalo, che qui ringraziamo.

Buona lettura.


Salvatore Vasotti

founder / director




Libro lazzaro
Il rito musicale del Lazzaro - Edizioni Museo Pasqualino


IL RITO MUSICALE DEL LAZZARO IN PIANA DEGLI ALBANESI


Fra i cinque paesi arbëreshë di Sicilia, Piana degli Albanesi è senza dubbio quello in cui la tradizione del "Lazzaro" è maggiormente partecipata. La sera e la notte del venerdì che precedono la Domenica delle Palme, come accade negli altri quattro paesi, si attuano alcuni comportamenti cerimoniali in memoria della resurrezione di Lazzaro, il più rilevante dei quali è costituito dall'esecuzione itinerante, durante una questua rituale, di un canto in albanese che narra l'evento.

A Piana, di norma, prima di avviare la questua, il canto viene intonato per la prima volta al termine della Liturgia dei Presantificati celebrata in Cattedrale.

A eseguirlo, subito prima dell'apolitikion di san Lazzaro Tin kinìn Anàstasin, sono sia i sacerdoti, sia il coro, sia i fedeli. Terminato l'Ufficio, un numeroso gruppo di persone si raduna sul sagrato della chiesa dove, prima di avviarsi per effettuare la questua lungo le vie del paese, propone una seconda esecuzione.


La variante testuale del Canto di Lazzaro in uso a Piana è, com'è noto, quel. la composta dal sacerdote pianioto Francesco Parrino (1754-1831). Il testo è costituito da dieci quartine di ottonari irregolari. Per quanto riguardo l'aspetto melodico si faccia riferimento alla trascrizione musicale realizzata da Eugenio Tinnirello (riprodotta nel volume).

Due trascrizioni "storiche" del testo del canto furono pubblicate da Francesco Falsone nel 1936 nella grande raccolta intitolata Canti Ecclesiastici greco-siculi. La prima delle due varianti testimoniate da Falsone presenta una pressoché totale identità con quella tuttora in uso, mentre la seconda non corrisponde a nessuna delle varianti oggi conosciute né a Piana né in alcuno degli altri centri dell'Eparchia (cfr. Falsone 1936: 338-339; vedi fotoriproduzione 1 nel volume).

In chiesa il canto viene eseguito interamente; per la questua vengono invece eseguite solo alcune strofe. Sia in chiesa sia durante la questua quasi tutti i cantori si avvalgono di un testo scritto.

Nella decima strofa, come risulta indicato nel suddetto foglio, in chiesa (të klisha) il canto si conclude con Lule dhe pemë për në dhe (Fiori e frutti per la terra), mentre per la questua l'ultimo verso è Ejani zbillni, bjerni atò ve (Venite aprite, portate quelle uova), dunque con l'esplicita richiesta di un'offerta.

L'uso di testi scritti da parte di cantori e fedeli durante il "Lazzaro" non è certamente un fatto recente. Nella prima metà del Novecento si ha, infatti, notizia di come alcuni Papades di Piana degli Albanesi si fossero premuniti di riprodurre un numero, comprensibilmente ridotto, di copie tipografiche o più spesso ciclostilate del testo poetico sia di tori, a uso dei cantori e dei fedeli.

Questa scelta fu mossa dall’esigenza sia di fornire un ausilio mnemonico al canto sia di offrire ai devoti uno strumento di riflessione spirituale sul senso religioso della resurrezione di Lazzaro. Col trascorrere dei decenni, la maggior parte dei fogli volanti e dei libretti è ormai andata dispersa. Alcuni testi, però, si trovano ancora oggi, negli archivi parrocchiali o nella biblioteca del Seminario di Piana, oppure, custoditi presso private abitazioni insieme ad altri ricordi di famiglie: in entrambi i casi, dunque, si tratta di materiali difficilmente reperibili e consultabili. Fra questo tipo di testimonianze, un esempio di emblematico valore documentario può essere un libretto ciclostilato di 8 pagine (fotoriproduzione 3 nel volume originale), risalente alla fine degli anni Settanta del secolo scorso (verosimilmente al 1978), curato da Papàs Gjergji Schirò (1907-1990). Si noti che oltre al Canto di Lazzaro il libretto include, quale primo canto, l'apolitikion di san Lazzaro Tin kinin Anàstasin, e quale ultimo canto l'idhiòmelon dell'Ufficio della Passione del Santo e Grande Venerdì Simeron kremate epì xilu (Oggi è sospeso sul legno). Tale scelta, da parte di Papàs Gjergji Schirò, non sembra derivare solo dal fatto che si tratta di tre canti particolarmente amati dai fedeli e ben conosciuti da tutti (tant'è che durante le celebrazioni essi vengono eseguiti dall'intera assemblea), ma anche, e forse soprattutto, dal desiderio di suggerire ai fedeli un preciso spunto di meditazione, per l'intero arco della settimana che dal Venerdì di Lazzaro conduce sino al Venerdì Santo, proprio attraverso un percorso di concatenazione "simbolica" dei tre testi.

Fino a un recente passato, a Piana degli Albanesi, il Canto di Lazzaro veniva eseguito, sempre senza accompagnamento musicale, tanto in chiesa quanto durante la questua, cioè conformemente alle prescrizioni universalmente previste dal rito bizantino per il canto propriamente liturgico. Da qualche decennio, invece, per le sole esecuzioni "all'esterno" si fa spesso uso di strumenti, per esempio chitarra e/o fisarmonica. L'uso degli strumenti musicali contribuisce, insieme ad altri elementi di cui si dirà, a inquadrare il rito itinerante del "Lazzaro" di Piana degli Albanesi in una dimensione palesemente gioiosa. I non rari momenti in cui i musicisti improvvisano coinvolgenti esibizioni solistiche di musica strumentale (valzer, polche, mazurche, etc.) sono una conferma di ciò.

Oltre a quest'innovazione, nella tradizione del "Lazzaro" di Piana sono intervenute, negli ultimi tempi, altre trasformazioni, che, però, non hanno del tutto modificato le antiche modalità cerimoniali. Una, per esempio, riguarda la partecipazione al rito cantato itinerante anche di donne, di adolescenti e bambini di entrambi i sessi, nonostante la questua si svolga in ore serali e notturne. Al riguardo è da evidenziare che recentemente la presenza di bambini e di adolescenti è diventata sempre più numerosa, anche per effetto del lavoro portato avanti dagli insegnanti di scuola elementare e media, volto alla trasmissione delle tradizioni siculo-albanesi, tra cui i canti. Tale consistente partecipazione infantile conferisce al rito cantato del "Lazzaro" di Piana un ulteriore connotazione lieta e festosa.





Un altro fra i mutamenti intervenuti rispetto al passato, riguarda il fatto che, all'incirca fino agli anni Ottanta del secolo scorso, a cantare il "Lazzaro" erano diversi gruppi, composti da circa dieci-quindici uomini, ciascuno dei quali generalmente faceva capo a un diverso Papàs. Costui accompagnava il "proprio" gruppo per le strade del paese, durante la questua, che, dunque, si svolgeva secondo una modalità definibile "policentrica". Oggi, invece, a cantare il "Lazzaro" per le strade è un solo grande gruppo di diverse centinaia di persone. Secondo quanto mi è stato riferito, la causa principale di tale trasformazione sarebbe da mettere in relazione con la rilevante riduzione del numero dei sacerdoti operanti in paese, che proprio in quel periodo si verificò a Piana: la conseguenza fu che, col trascorrere degli anni, i vari cori cominciarono a "fondersi" in un più ridotto numero di gruppi sempre più numerosi, fino a determinare la situazione attuale. Iniziò così progressivamente ad affermarsi, da parte dei fedeli, l'usanza di allestire grandi "tavolate" all'aperto (in strada, in cortili o in piazzole); spesso attraverso la collaborazione di diverse famiglie dello stesso rione, al posto dei piccoli rinfreschi "familiari" che un tempo venivano preparati per l'occasione solo dentro le case private (cfr. Bonanzinga dvd 2002).

In passato, inoltre, i gruppi di cantori si formavano, per così dire, autonomamente e spontaneamente, e la committenza da parte delle singole famiglie scaturiva da intenzioni devozionali del tutto private. Oggi la questua cantata e le "tavolate" si attuano, invece, secondo modalità organizzative in qualche modo formalizzate.

Un tempo, l'offerta alimentare da parte delle famiglie consisteva prevalentemente in uova crude o sode (proprio a questa usanza fa riferimento la già citata seconda variante del verso conclusivo del canto): in parte esse venivano mangiate dai questuanti, in parte venivano consegnate al sacerdote, che, dopo averle colorate di rosso con l'aiuto di qualche parrocchiana e dopo averle benedette le avrebbe fatte distribuite per la Pasqua quale segno di gioia, di prosperità e d'abbondanza. Le famiglie più agiate, oltre a donare uova, imbandivano la tavola della propria casa con vino, formaggio, olive, biscotti, frutta secca, dolci fatti in casa  e altro cibo da destinare ai cantori. Alcune famiglie potevano elargire anche denaro per consentire di acquistare altre uova: anch’esse una volta preparate secondo tradizione, sarebbero state consumate a Pasqua. Quale che fosse la varietà e la quantità delle offerte, restava sempre centrale e imprescindibile la presenza delle uova. L’uovo, infatti, non solo al pari degli altri cibi rappresentava un palese segno di abbondanza, ma, in quanto simbolo di propiziazione e di rinascita della vita, rimandava con chiara evidenza all’idea cristiana della Resurrezione.

Come ha opportunamente evidenziato Papàs Pecoraro, il "Lazzaro" in passato «da un lato generalmente veniva cantato da gente bisognosa per ricevere un aiuto e per poter così celebrare una Pasqua non solo di gioia spirituale ma anche materiale; dall'altro si collegava alla preparazione del cibo che doveva essere benedetto e consumato per la Pasqua […]. Ovviamente, in questo caso, l'alimento concreto assume anche un valore simbolico: l'uovo è dunque colorato, dipinto e ornato» (Pecoraro 2002: 110). Ai nostri giorni, ovviamente, nel rito del "Lazzaro" la funzione di sostegno e di caritatevole solidarietà ai poveri è quasi del tutto venuta meno. Continua pienamente a permanere, invece, il valore simbolico della consumazione rituale di cibo in occasione della questua: tale comportamento, determinando un'interruzione del digiuno quaresimale, connota gioiosamente l'occasione festiva.

Rispetto al passato, peraltro, oggi l'offerta alimentare per i cantori risulta molto più ricca e varia: ai cibi tradizionalmente preparati in passato, infatti, è diffusa la consuetudine di aggiungere anche pizza, sfincione, caramelle, cioccolatini e frutta; mentre al tradizionale vino locale "sfuso", ormai si affiancano anche vini imbottigliati, coca-cola, aranciata e altre bibite gassate. Quale segno di continuità con il passato resta, tuttavia, la presenza delle uova come alimento comune a tutte le "tavolate". Diversamente che in passato, oggi a Piana degli Albanesi, i cantori trovano sulle tavolate, di norma, solo uova cotte, molte delle quali già colorate di rosso. Alcune vengono mangiate seduta stante, altre vengono portate via per essere consumate in famiglia a Pasqua.


Oggi, a Piana degli Albanesi, la questua cantata è una partecipatissima festa itinerante per le vie del paese, durante cui un solo grande gruppo di norma guidato da Papàs Jani Pecoraro, sosta davanti alcune abitazioni e presso alcuni luoghi particolarmente rappresentativi (alcune chiese, la piazzetta antistante il Seminario Eparchiale, il Monastero della Skliza, il cimitero, il ricovero per anziani, alcune cappelle votive, piazze e monumenti civili). A ogni sosta i cantori intonano, com'è stato già ricordato, solo alcune strofe del Canto di Lazzaro e, a volte, anche l'apolitikion di san Lazzaro Tin kinìn Anàstasin. Le strofe eseguite in tutte le "fermate" sono sempre le prime due, la settima, in cui Gesù chiama Lazzaro alla resurrezione con le parole Lazër, Lazër, ngreu e rrëfyej (Lazzaro, Lazzaro, alzati e racconta), e le ultime due. È tuttavia possibile variare questo schema cantandone anche altre. Spesso, durante l'esecuzione dell'ultima strofa, uno dei cantori, generalmente Papàs Jani, bussa alla porta dell'abitazione dinanzi cui si è cantato, con esplicita e "drammatizzata" allusione all'ultimo verso del canto, in cui si fa evidente riferimento all'azione della questua: Ejani zbillni, bjerni atò ve (Venite aprite, portate quelle uova).

Dato l'elevato numero dei partecipanti, se è una singola famiglia a richiedere una "fermata" dinanzi alla propria abitazione, il banchetto, se possibile, viene allestito in un grande salone o in un ampio garage al piano terra, oppure, in mancanza di tali spazi, in una "tavolata" per strada quanto più possibile vicino alla casa.

Al di là delle trasformazioni intervenute, ciò che va soprattutto sottolineato è che oggi a Piana degli Albanesi il "Lazzaro" costituisce un'occasione devozionale e festiva assai partecipata e vitale, una gioiosa festa per l'intero paese, senza distinzione di appartenenza al rito, sia esso bizantino o romano, dunque sia per "greci" sia per i "latini". Una tradizione paraliturgica fra Oriente e Occidente, che, soprattutto ai giorni nostri, acquista una grande rilevanza identitaria: questa, se da un lato marca l'inconfondibile unicità della cultura e delle tradizioni degli Arbëreshë di Sicilia, dall’altro ne conferma l’appartenenza alla più vasta e complessa storia, multiculturale e sincretica, dell’intera Sicilia.



Kënga e Lazarit / Canto del Lazzaro


  1. O mirë mbrëma, kësaj zotërì Çë ndë këtë shpi ndodhet, u thom. Gje' çë famasmë be Perëndia tek ajo horë ç'i thon Betënia

  2. Ishë një njeri ç'i thoshjën Lazër, Nga Krishti i dashur me lipisì. Di motra kish vetëm e jo më, me varfërì e pa mosgjë.

  3. Lazëri vdikj, se mortja e mbjodhi, e tuke klar zëmbra ju loth. E varrëzuan tue shkulur krip, Mire e pështruan e u vun në lip.

  4. Te Perëndia u nisn' e vanë; me lot ndër si muarn' e i thanë: O Zot, o Zot, në kishe klënë, vdekur ng'e kishëm vëllauthin tënë.

  5. Fshini atò lot, pliksni atà krip, mos kini dre, se Lazëri flë. E çë na thua, o i madh' yn'Zot ? ka katre dite çë vëllau ha bot.

  6. Mua kimni bes, se U jam Gjella U Perëndia, U vetm' yn' Zot. Yn'Zot u nis, me Apostojt ish Gjindja ç'e prisjën me dishirjm

  7. Posa ç'arru, nga varri u qas. Lazërin thirri, me një zë të math. O Lazër, Lazër, ngreu e rrëfyej Çë vjen më thënë kjo mortje e shkret.

  8. Lazëri u ngre, se u ngjall pamèt, e i tha shum vjet të lartit Zot; E pran i tha: O i madh'yn' Zot, çë farmk'i math ç'isht ajò bot.

  9. Gjith'e famasur gjindia qëndroi, Krishtin lëvdoi si Perëndi. Këtë të vërtèt vangieji e thot, streksi në jet kur jicëj yn' Zot.

  10. Njeriu çë rron me shejten bes, Me gëzim vdes e pa kopòs O ju ç'na giegjij, paçit harè (Te klisha): Lule dhe pemë për në dhe Ejani zbillni, bjerni atò ve.


Tin kinìn Anàstasin pro tu su pàthus

pistùmenos, ek nekròn ìghiras ton

Làzaron Christè o Theòs; òthen ke imìs

os i pèdhes ta tis nìkis sìmvola fèrondes,

si to nikitì tu thanàtu voòmen: Osannà en

dis ipsìstis, evloghimenos o Erchòmenos

en onòmati Kiriu.




CREDITI:

Si ringrazia il professore Girolamo Garofalo per averci fornito il testo e le foto.


Il testo è tratto dal volume "Il rito musicale del Lazzaro nelle comunità arbëreshe di Sicilia" a cura di Girolamo Garofalo e Giuseppe Giordano edito da Edizioni Museo Pasqualino










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